Quando una tecnologia è innovativa?

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L’ultima volta, parlando del legame tra diritto d’autore e tecnologia della stampa, ho toccato un tema che attraversa un po’ tutti i tentativi di riflessione che ho provato a mettere giù in questa serie di articoli. Si tratta del rapporto tra tecnologia e società, ossia di come le innovazioni nate da una parte ne producono sull’altro versante. Credo che una teoria ben fondata su questo rapporto potrebbe essere di grande utilità per capire quello che ci succede, soprattutto in un periodo come il nostro. Ormai è un luogo comune: il passo dell’evoluzione tecnologica è talmente veloce che non riusciamo a starci dietro e il mondo come lo conoscevamo è destinato a finire.

Bene, la seconda parte di questa affermazione è certamente vera. Ma non è una novità: per innumerevoli volte, nella storia, le trasformazioni tecnologiche hanno stravolto secolari istituzioni sociali, culturali politiche ed economiche. Lo abbiamo visto, nel caso della stampa, per il copyright: un esempio particolare e, tutto sommato, minore rispetto all’ampiezza degli sconvolgimenti prodotti da una tecnologia capace di rivoluzionare la produzione e la circolazione del sapere. Non faremmo nessuna fatica a trovare altri esempi, dalle armi da fuoco alle tecnologie dei metalli, dai motori a combustione interna alle telecomunicazioni.

La stampa e il fucile

Ma, anche qui, bisogna evitare di semplificare troppo. Torniamo alla stampa: normalmente pensiamo alla sua invenzione occidentale, a opera del buon Johannes Gutenberg, che nel 1450 aveva pubblicato il suo primo libro a Magonza (anche se alcune fonti fanno risalire l’invenzione al 1436). Ma la pressa tipografica a caratteri mobili era stata già inventata quattro secoli prima, ovviamente senza che il nostro amico tedesco ne sapesse nulla. Sappiamo anche da chi: Bi Sheng, artigiano cinese vissuto tra il 972 e il 1051, durante la dinastia Song, che ha costruito il primo torchio tra il 1039 e il 1048. Lo stesso vale per la polvere da sparo, invenzione tanto dirompente nella storia europea che Ariosto fa distruggere dal suo Orlando il primo archibugio, realizzato da un mago malvagio, per tutelare il valore cavalleresco dai pericoli di siffatto diabolico marchingegno. Ebbene, in Cina veniva impiegata già nel nono secolo (dinastia Tang), mentre in Europa se ne iniziò a parlare solo nel tredicesimo, con i soliti quattro secoli di ritardo.

Va notato che i cinesi non fecero certo come Orlando; anzi, usarono largamente entrambe le invenzioni. Perché, allora, la società cinese non ne fu trasformata radicalmente come quella europea? O, per dirla più cinicamente, perché l’Europa è arrivata a dominare e occidentalizzare il mondo e non lo hanno fatto i cinesi (almeno, non quelli di allora)? Insomma, perché Gutenberg è stato proclamato uomo del millennio, mentre il nome del povero Bi Sheng è poco più che una curiosità da eruditi? Rispondere a questa domanda non significa soltanto appagare una velleità intellettuale, ma soprattutto farsi un’idea del modo in cui la tecnologia agisce sulle nostre vite e sulle nostre istituzioni. Una questione abbastanza importante, ai tempi dell’intelligenza artificiale.

Rivoluzione o conservazione?

Evidentemente, non si tratta di un processo lineare, per cui una nuova tecnologia comporta automaticamente una radicale trasformazione. Siamo di fronte a un processo complesso, con molteplici fattori ed equilibri che entrano in gioco. Prendiamo il caso della tipografia: nella società cinese, l’accesso ai testi scritti era riservato soprattutto alla classe dei funzionari, che ovviamente non avevano nessun interesse a diffondere il loro strumento di potere. Anche quando iniziò una produzione letteraria per le altre classi (circa nel quindicesimo secolo, dopo la cacciata dei mongoli e l’instaurazione della dinastia Ming), le barriere sociali tra i testi che contavano e quelli di intrattenimento erano sufficientemente rigide da non essere compromesse da una tecnologia ormai sostanzialmente matura e ben metabolizzata dalle classi dominanti.

Lo stesso vale per la polvere da sparo: gli eserciti cinesi erano alle dirette dipendenze dell’imperatore o del sovrano locale e non esisteva una classe di guerrieri aristocratici sul tipo della cavalleria occidentale, per cui l’introduzione delle nuove armi fu assorbita abbastanza agevolmente dall’organizzazione militare dell’epoca. Insomma, le armate cinesi somigliavano in un certo senso alle legioni romane: soldati equipaggiati in modo omogeneo, con un addestramento uguale per tutti, al servizio del potere politico.

La situazione in Europa era completamente diversa. Il nerbo degli eserciti medievali era formato da pochi professionisti della guerra, addestrati fin dall’infanzia e dotati di armi e armature estremamente sofisticate e dispendiose: aristocratici e uomini d’arme. Accanto a questi, una massa di “carne da cannone”, formata da contadini o milizie urbane, molto meno addestrate ed equipaggiate dei veri professionisti.

La diffusione delle armi da fuoco, che permettevano a qualsiasi povero diavolo con uno schioppo di trasformare un rappresentante del fiore della cavalleria in un ammasso di ferraglia, ebbe un effetto dirompente tanto sui campi di battaglia quanto sulla struttura sociale, fino a porre le basi per il declino dell’aristocrazia europea. Lo stesso si può dire della stampa. In questa parte di mondo, infatti, la produzione di sapere era oggetto di una duplice concorrenza: da una parte, quella tra i diversi centri di potere, dall’altra tra differenti soggetti sociali, tra monasteri e università, ceto ecclesiastico e borghesia urbana.

Tecnologia e società

Possiamo dire che la cavalleria fosse un hub del mondo feudale. La sua forza militare la rendeva altrettanto dominante sul piano politico-amministrativo e su quello economico, oltre che un fattore di stabilità per tutto l’edificio sociale. Sull’altro versante, la disponibilità di libri era un fattore determinante nella produzione di sapere: il fatto che fossero pochi ed estremamente costosi costituiva una barriera oggettiva in un contesto sociale e culturale che aveva già mostrato di essere molto poroso.

A questo si aggiunge un ulteriore aspetto, la sostanziale instabilità dei diversi centri di potere europei, impegnati in una costante lotta per la supremazia o l’indipendenza. Quando a vincere le battaglie non furono più gli eserciti con i nobili cavalieri ma quelli con i tagliagole armati di picche e moschetti, si scatenò una corsa agli armamenti tra le varie corti, che ebbe un ruolo chiave nella formazione degli stati nazionali. Quando la circolazione di libri fu tale da rendere possibile un confronto di idee senza precedenti, le università e le accademie più capaci di aprirsi alle nuove forme di sapere presero il sopravvento sulle altre.

Cosa serve alla rivoluzione

Dunque, possiamo dire che la capacità di un’innovazione tecnologica di mettere in crisi gli assetti esistenti va misurata su tre dimensioni:

l’impatto su un punto cruciale della rete sociale (come la cavalleria in Europa);

l’induzione di una transizione di fase che trasforma un salto quantitativo in una trasformazione qualitativa (come la circolazione dei libri);

le condizioni di stabilità di base del sistema interessato dall’innovazione.

Per valutare meglio quest’ultimo dato, può essere utile un controesempio. Nel 1603, Tokugawa Ieyasu divenne shōgun del Giappone, ponendo fine a un lungo periodo di guerre intestine noto come Sengoku Jidai. In questo periodo, le tecniche militari giapponesi conobbero una forte evoluzione, anche grazie agli scambi con i mercanti portoghesi e olandesi, che avevano diffuso le armi da fuoco occidentali, subito copiate e prodotte localmente in larga scala. Lo stesso Tokugawa riuscì a sconfiggere i suoi avversari proprio grazie all’impiego massiccio di queste armi. Una volta concluse le ostilità, tuttavia, il nuovo padrone del Giappone chiuse il paese agli scambi con l’estero e sospese l’uso bellico delle armi da fuoco.

Ciò fu esplicitamente dovuto al timore che l’uso prolungato delle nuove armi avrebbe eroso il potere e il prestigio dei samurai, il cui ruolo sociale e politico, oltre che militare, li rendeva simili alla cavalleria europea. Dunque, fintanto che la situazione era instabile, con diverse fazioni che si contendevano il potere, i vantaggi della tecnologia venivano perseguiti nonostante le loro potenziali ricadute sociali. Una volta ristabilito l’ordine, la nuova tecnologia fu di fatto “disinventata”, almeno nelle sue implicazioni più significative.

A che punto siamo?

Lo vediamo ancora oggi. L’impatto delle tecnologie dell’informazione è stato fortissimo sulle società occidentali, trasformando i meccanismi di formazione del consenso, la produzione culturale e la governance della nostra parte di mondo. Nella Cina di oggi, che non è certo indietro su queste tecnologie, dopo piazza Tiananmen tutto è rimasto sostanzialmente sotto controllo, con i funzionari di partito che hanno saputo metabolizzare internet come i loro antenati imperiali avevano fatto con la stampa.

A grandi linee, possiamo dire che le società umane si organizzino intorno a una funzione primaria: organizzare i lavori necessari a soddisfare i bisogni riconosciuti. Ciò comporta un doppio sviluppo: di tecnologie materiali, che rendono più efficienti i singoli processi (dal fuoco alla ruota, dalla tipografia allo smartphone) e di dispositivi socio-culturali, che organizzano le attività sociali, dalle pratiche sciamaniche alle tavole delle leggi, dalla religione alla finanza. Il punto è che queste strutture generano nuovi bisogni, sia tra i soggetti sociali, sia negli apparati tecnologici, politici e culturali. Questa specie di contraccolpo dialettico, per usare un termine hegeliano, fa sì che i processi storici abbiano un andamento discontinuo, attraverso una serie di crisi e trasformazioni. Questi passaggi sono necessari per dispiegare appieno il potenziale innovativo delle stesse tecnologie. Anche per questo, le armi da fuoco e i torchi da stampa europei, per quanto molto successivi alle invenzioni cinesi, divennero rapidamente più sofisticati e capaci.

Il punto, ora, è questo: allo stato attuale delle cose, siamo più europei o più cinesi? Che cosa sta succedendo con le AI? Per capirlo, abbiamo un punto di osservazione molto efficace e assai vicino nel tempo e nella nostra esperienza: le crisi. Proprio di questo parlerò nel prossimo pezzo.