La proprietà intellettuale: un prodotto tecnologico

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Abbiamo visto come una dinamica tipica nella trasformazioni dei sistemi complessi sia quella delle transizioni di fase. Prima di passare ad altre analisi del comportamento di questi sistemi, vorrei provare ad approfondire questo aspetto, in particolare osservando in che modo una trasformazione tecnologica possa rivoluzionare alcuni aspetti fondamentali dell’organizzazione economica e sociale.

Credo che sia particolarmente interessante ragionare sulla storia e le prospettive della proprietà intellettuale. Nelle sue sue diverse forme (brevetti, copyright e trademark), è uno degli elementi strutturali della nostra economia, forse persino del nostro tessuto sociale. Proteggere i diritti di inventori, ricercatori, artisti o aziende con una reputazione è nell’interesse generale, dato che in questo modo si forma un infrastruttura efficace per compensare i loro sforzi.
La ratio della proprietà intellettuale funziona così: l’innovazione e la creatività sono un bene per la società, perciò promuoverle è nostro interesse. Ma questa capacità non sono distribuite in modo uniforme tra i membri della società e bisogna investire molto tempo e molto lavoro perché possano dare i loro frutti. Inoltre, è un processo dagli esiti incerti. Perciò, bisogna proteggere gli individui dotati di creatività e capacità di innovazione, con l’allestimento di un quadro legale solido e affidabile che protegga il loro lavoro e assicuri che possano trarre benefici economici dalla sua valorizzazione.

Le ragioni del copyright

Ecco perché questi diritti sono interpretati come una forma di proprietà. L’inventore, o il creatore, ha portato al mondo qualcosa che viene percepito come nuovo secondo le comuni norme sociali. Proprio questa novità, che è il frutto del lavoro e dell’inventiva dell’autore, è parte di loro, proprietà nella sua forma più pura. Di conseguenza, il proprietario può regolarvi l’accesso e anche cedere i suoi diritti, in cambio di un compenso soddisfacente. In pratica, ciò porta a un modello in cui gli autori hanno fondamentalmente due scelte: vendere direttamente la proprietà o accordarsi per la sua valorizzazione con una terza parte. Quest’ultima forma è nettamente prevalente e ha portato allo sviluppo delle attuali normative su brevetti e copyright.

Il copyright è, letteralmente, il diritto di fare copie e si applica, tipicamente, alle forme di creazione artistica che possono essere riprodotte su larga scala, senza perdita del valore intrinseco dell’opera. Dovrebbe essere chiaro, allora, che questo tema è diventato rilevante solo una volta che è stato possibile ed economicamente sostenibile far circolare un elevato numero di copie. Il primo esempio di questo tipo è stato la stampa a caratteri mobili, che ha reso possibile una crescita esponenziale del numero di libri esistenti in Europa. Si stima che prima dell’invenzione di Gutenberg (1436) ce ne fossero poche migliaia, per arrivare, nel giro di una cinquantina d’anni, a decine di milioni.

Dalla tecnologia al paradigma

Le prime misure a tutela del diritto esclusivo di stampare copie di un libro si attestano alla fine del Quattrocento a Venezia, uno dei principali centri della nascente industria tipografica. Per arrivare a una formulazione assimilabile al moderno copyright bisogna però aspettare il cosiddetto Statuto della regina Anna d’Inghilterra (1710), che dà forma al diritto d’autore. Chi volesse approfondire il tema può trovare qui un quadro riassuntivo abbastanza dettagliato, con molti riferimenti bibliografici.

Dal nostro punto di vista, il dato interessante è che assistiamo a un’innovazione tecnologica che permette un incremento quantitativo nella diffusione di qualcosa che c’era già prima. Questo salto di quantità innesca una vera e propria transizione di fase, che produce una serie di trasformazioni:

nell’oggetto stesso: il libro prodotto in massa per una grande quantità di lettori diventa un’altra cosa rispetto ai vecchi manoscritti. Non solo nella forma ma anche nel contenuto: il romanzo e il saggio, scientifico e filosofico, nascono così;

nello statuto dell’oggetto: visto che l’oggetto libro può essere prodotto facilmente e a basso costo, il suo centro di valore ne diventa il contenuto, non il supporto. Pertanto, l’autore si trova depositario di diritti economici e nasce la figura dell’editore;

nel processo di produzione, che fa da modello alla successiva rivoluzione industriale.

Il modello industriale

Infatti, quella della stampa è forse la prima vera industria moderna, nella quale lo stampatore (che in seguito diviene editore) dispone di capitale nella forma di macchinari, forza-lavoro e reti di distribuzione. Il paradigma di base dell’industria editoriale prevede che poche imprese (appunto, gli editori) abbiano gli strumenti per far arrivare il prodotto di un numero più ampio di persone (gli autori) a un numero molto maggiore di consumatori (i lettori). Questo paradigma è rimasto lo stesso per le registrazioni di audio e video, con le relative industrie della discografia, del cinema e della televisione, fino ai videogame. Queste industrie centralizzate intorno ai loro costosi impianti controllavano di fatto il mercato, decidendo di fatto su quali autori investire. Il copyright classico tutelava gli autori all’interno di questo paradigma, definito appunto dal sistema di produzione delle copie.

Questo modello è diventato, di fatto, tecnologicamente obsoleto. L’avvento di soluzioni che decentralizzano e facilitano la produzione di copie, dalle fotocopiatrici alle cassette audio e video, fino alle copie digitali ha trasformato la produzione. L’affermazione di reti orizzontali per la circolazione delle opere, esistenti in passato soprattutto in forma clandestina, ha rivoluzionato la distribuzione.

Il modello digitale

La digitalizzazione, insomma, ha ancora una volta trasformato l’industria nei suoi presupposti fondamentali, di fatto togliendo il controllo di produzione e distribuzione dai soggetti che lo avevano concentrato. Ciò non significa che gli autori debbano rinunciare a ogni diritto. Proprio il fatto che oggi non esiste un modello diffuso per la tutela di questi diritti rappresenta, paradossalmente, forse la ragione principale per cui questo tipo di industria è ancora in piedi.

Comunque, sono ormai chiare due cose. La prima è che il sistema non si può più fondare sul controllo delle copie. La seconda è che diventa necessario definire una catena del valore in cui si parte dal lavoro dell’autore per riconoscere tutti gli ulteriori contributi, a promuovere l’opera, trasformarla, arricchirla. Dobbiamo, insomma, pensare a un nuovo tipo di mappa, in cui la circolazione delle copie digitali viene tracciata, con tutte le sue transazioni e variazioni. Copie che tornano a essere oggetti unici, proprio perché dotati di una storia irripetibile.

La catena del valore digitale

La tecnologia per farlo esiste: è la blockchain. Ogni singola transazione viene documentata in un registro pubblico, aperto, trasparente, distribuito e non modificabile. Di conseguenza, ogni copia di un contenuto ha una sua identificazione, univoca e individuale. Le copie non vengono più prodotte in un impianto centralizzato e distribuite da catene rigidamente controllate, ma create nei device degli utenti. Questa produzione è certificata come transazione, resa possibile da sistemi di licenza (smart contract) e pagamento (criptovalute) residenti anch’essi nella blockchain. Così gli oggetti digitali hanno la stessa unicità di quelli fisici: la mia copia digitale dei Fratelli Karamazov è quella creata nel mio device a una certa data, certificata da una certa transazione ed è proprio questa qui, esattamente come la mia copia cartacea.

Di conseguenza, un sistema basato su blockchain potrà avere queste caratteristiche:

tutto il sistema nasce digitale. Dato che tutto il processo di produzione e distribuzione si svolge su una rete decentrata, la logica del sistema tradizionale diviene obsoleta;

gli oggetti digitali possono essere usati senza le attuali restrizioni basate sui DRM. Posso prestare, regalare, rivendere la mia copia digitale esattamente come avviene con quella fisica;

sulla base del relativo smart-contract, gli autori possono partecipare a tutte le transazioni. Così, se la transazione genera trasferimenti di denaro (es. la rivendita di una copia “usata”), il detentore della proprietà intellettuale può parteciparvi;

i diritti degli autori sono protetti dallo stesso sistema che produce le copie, senza che ci sia bisogno di un intermediario.

Questi sono però solo gli aspetti più immediati di una radicale innovazione del sistema di tutela della proprietà intellettuale, al passo con l’innovazione tecnologica. Esattamente come per i libri cartacei, drasticamente trasformati dall’avvento della stampa, possiamo attenderci grandi trasformazioni dei contenuti digitali. Anzi, possiamo già immaginarne una: il versionamento. In altre parole, il contenuto dell’opera non sarebbe più qualcosa di fisso e immutabile. A ogni transazione, si potrebbe aggiungere ulteriori elaborazioni, connessioni e rimandi, stratificando il contenuto di partenza. Tutto verrebbe registrato da uno smart contract che si aggiorna automaticamente per tracciare ogni nuovo contenuto.

Immaginiamo una serie di racconti scritta a più mani, un saggio che viene collazionato e ampliato, una canzone che si porta dietro i remix, un libro che diventa sceneggiatura, testo teatrale e chissà cos’altro. Immaginiamo gli autori che partecipano a tutto questo e ne mantengono il controllo. Immaginiamo di liberare i contenuti dai contenitori, l’opera dai suoi limiti.